Anche se la candidatura al Premio Nobel per la Pace si è risolta in nulla, il ruolo della rete come vettore chiave nelle più recenti rivolte politiche appare chiaro a tutti. Già nel 2009, con la rivoluzione verde, in Iran, e poi oggi, con le rivolte che infiammano il Nord Africa, il web, con un'efficacia e una rapidità superiore a quella di giornali e Tv, racconta le rivolte, la soppressione, la violenza, la paura e l’urgenza di libertà e di cambiamento che da alcune settimane scuotono paesi come Egitto, Libia e Tunisia. Ecco perché, quando le cose volgono al peggio, i “cattivi” di tutte le latitudini, per prima cosa spengono la rete: Faceboook, Twitter, Youtube. Via. Via tutto. Buio.
Il motivo lo spiega chiaro il responsabile dell’osservatorio sull’ICT del Politecnico di Milano, Andrea Rangone, docente di Strategia e sistemi di pianificazione.
«Il ruolo di internet è stato cruciale nelle recenti rivolte e rivoluzioni, da almeno due punti di vista: il primo è che ha consento la diffusione di immagini e informazioni che i media tradizionali non erano in grado di trasmettere; poi perché la rete ha consentito di organizzare le manifestazioni, gli incontri e i cortei, che altrimenti sarebbero stati impossibili».
Un passaparola tecnologico dunque, dal cuore della rivolta verso il mondo fuori ( che altrimenti non avrebbe saputo nulla) e verso i suoi arti, fatti di idee e persone, che irrora con i messaggi e video.
«È un errore credere che la censura su internet riguardi solo le rivolte e le condizioni estreme secondo una recente ricerca sarebbero 36 i Paesi che, in tutto il mondo, esercitano un controllo, più o meno diretto, sul web».
Tra questi, come è ovvio, spicca la Cina, il paese candidato a guidare il mondo del futuro, ma sempre in difetto per quel che riguarda i diritti civili e la libertà di espressione.
«In Cina il governo non solo blocca l’accesso a alcuni specifici siti, come facebook, ma controllano anche i risultati delle ricerche: per esempio, nelle scorse settimane la parola “Egitto” non dava nessun risultato».
Aggirare la censura, però non è impossibile.
«Nel web cinese sono molti i siti e gli spazi virtuali nei quali si cerca di raccogliere l’opinione delle persone, magari anche il dissenso. Da qui, possono poi sorgere, anche concreti tentativi di protesta. Come è stato il caso, in questo ultimi giorni, della rivolta dei gelsomini».
(
FpsMedia)
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