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Nessuna donna dovrà più abortire in Lombardia a causa delle difficoltà economiche». È questo l’ultimo obiettivo che si sono posti
Roberto Formigoni e la sua giunta. Un obiettivo che nasce anche da un’analisi della realtà lombarda:
fra il 1987 e il 2006, secondo Istat, le interruzioni volontarie di gravidanza da parte di donne residenti nella nostra regione sono diminuite. I numeri indicano che
ventiquattro anni fa 28.626 erano ricorse all’aborto, contro le
20.184 del 2006. Difficile trovare dati ufficiali più aggiornati ad oggi che probabilmente renderebbero un quadro diverso della situazione. È di un anno fa infatti il
grido d’allarme della Clinica Mangiagalli di Milano. Dalle pagine della stampa denunciava un evidente aumento delle interruzioni di gravidanza per
difficoltà economiche.
Ecco quindi da dove nasce la decisione dell'assessore regionale alla Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà sociale, Giulio Boscagli di proporre un provvedimento sperimentale di aiuto concreto. Si tratta di un assegno mensile di 250 euro per 18 mesi per quelle donne che rinunciano ad una interruzione della gravidanza dovuta a problemi economici. Il contributo, che arriva dunque fino a 4.500 euro, è reso possibile da un primo stanziamento di cinque milioni deciso dalla Regione, che ha versato i soldi sul Fondo "Nasko", appositamente creato. «Vogliamo aiutare – ha commentato Formigoni - la famiglia, la maternità e la natalità, rimuovendo il più possibile gli ostacoli, a cominciare da quelli di natura economica».
LA PROCEDURA - Quando una donna presenterà la richiesta di interrompere la gravidanza soprattutto per motivazioni economiche, gli operatori del consultorio o i servizi ospedalieri che riceveranno la donna, la metteranno in contatto con il CAV (Centro di aiuto alla vita) per consentirle di conoscere e valutare le opportunità di aiuto. Il Centro le presenterà gli interventi di aiuto che potrà offrirle, sia direttamente sia in raccordo con gli enti locali e le altre organizzazioni del terzo settore. A quel punto il CAV e il Consultorio familiare, se la donna accetta, stenderanno un "progetto personalizzato" che sarà sottoscritto anche dalla donna e nel quale saranno descritti i diversi interventi attivati o da attivare sia prima sia dopo la nascita del bambino. L'effettiva partecipazione della madre al progetto concordato sarà la condizione necessaria per ottenere il contributo, che potrà essere utilizzato per acquistare beni e servizi sia per la madre sia per il bambino.
LE REAZIONI - Sul provvedimento si alza però la voce del Partito Democratico che, per bocca della consigliera regionale Sara Valmaggi, critica la scelta dei Cav. «Ci riserviamo di capire bene quale sarà il meccanismo alla base del progetto – commenta, Valmaggi, che già nei giorni scorsi era intervenuta in merito ad alcune dichiarazioni di Formigoni sulla legge 194 e la pillola “abortiva” RU486 -. S’intravede un’esclusiva data ai CAV che, se fosse effettiva, ci appare inaccettabile dato che per legge sono i consultori i luoghi preposti ad accompagnare le donne nella libera scelta e non delle semplici associazioni come i Centri di aiuto alla vita».
La Giunta ha deliberato ieri, lunedì 31 maggio, il provvedimento e ora le sedi provinciali della Regione attendono la pubblicazione e i provvedimento attuativi per capire meglio come muoversi.